La storia della famiglia Cecchi ha inizio nel 1893 aggi Andrea e Cesare rappresentano la quarta generazione del gruppo che ha proprietà sia in Toscana che in Umbria. Incontro Andrea al termine dell’Anteprima Sagrantino 2018, l’occasione per parlare del rilancio della denominazione umbra e di vino a 360°.
“Con grande forza vogliamo rilanciare la denominazione del Montefalco Sagrantino, l’anteprima che si è appena conclusa ha permesso a tanti professionisti del settore non solo di assaggiare la nuova annata 2018, ma anche di vivere appieno questo territorio, composto da aziende che hanno storia e tradizioni ben radicate. Una annata quella 2018 che si è rivelata fresca, e senza quelle concentrazioni emerse in altre annate, grazie anche ad una estate che non ha mai vissuto situazioni estreme. Ma soprattutto è da apprezzare il rinnovato impegno di molti produttori nel proporre vini più ‘agili’ che in qualche modo vanno incontro anche a palati meno tecnici. Resta il fatto che il Sagrantino è un vino dal lungo invecchiamento, una bottiglia da cantina.”
Quale è lo stato di salute del settore vitivinicolo in Italia?
“Il mondo del vino sta andando bene, rispetto anche ad altri settori che hanno avuto problematiche nel periodo del covid, le aziende più strutturate forse hanno ottenuto risultati migliori rispetto ad altri, comunque è un comparto che da prospettiva.”
Quanto incide l’aumento dei prezzi delle materie prime sulla filiera?
“Moltissimo, questo sarà un anno in cui noi di Cecchi non faremo bilanci, la difficoltà a reperire materie secche, l’aumento dei costi energetici ai quali si somma una grossa difficoltà nel reperire manodopera, questo inizia ad essere anche in Italia un problema importante.”
Non trovate personale?
“Credo nei giovani per storicità, il problema è che è cambiata la cultura del lavoro, educare un ragazzo che si avvicina all’agricoltura è sempre più complicato. La mancanza dei valori di famiglia, di una matrice culturale, l’educazione ad i sacrifici, sono valori che spesso mancano nei giovani che incontro. In Italia purtroppo le imprese italiane nel settore del vino sono prevalentemente a conduzione familiare, il rapporto di lavoro si basa anche su di una connessione umana, la difficoltà più grande di questi ragazzi è quella di assumersi responsabilità piuttosto che avere stimoli che altre generazioni avevano. Una volta una azienda produceva solamente vino, oggi si parla anche di marketing, di comunicazione piuttosto che educational e sicurezza sul lavoro, un ragazzo che entra in una azienda come la nostra ha anche molto da imparare.”
Quale è la sua opinione sul nuovo progetto delle UGA nel Chianti Classico?
“Sono all’interno del Consiglio di Amministrazione del Consorzio, in questi anni abbiamo lavorato molto per la zonazione del Chianti Classico, credo molto nel nome dei villaggi in etichetta. E’ stato un percorso non facile, ma sono contento perché con il presidente Manetti abbiamo raggiunto questo obbiettivo con tutti i consiglieri all’unanimità. Il Chianti Classico è una denominazione che produce 40 Mln di bottiglie all’anno, ed ha bisogno di avere maggiore identità, lavorando sempre più sul Sangiovese. Il nostro obbiettivo per i prossimi 5 anni è quello di allargare il nome del villaggio anche alla riserva ed all’annata.”
Il ruolo degli internazionali nel Chianti Classico, riuscirete a ridimensionarlo?
“Come consorzio abbiamo recentemente modificato il disciplinare di produzione della Gran Selezione, escludendo appunto gli internazionali, questo per noi è già un grande risultato. Noi produttori abbiamo imparato a produrre un Sangiovese più morbido, non è più il colore che fa la differenza, questo vitigno per natura è più astringente e verticale rispetto ad un Merlot. C’è anche da ricordare però che i 7200 ettari della denominazione Chiancit Classico si estendono dai 150 ad i 600 s.l.m. dove il Sangiovese in certe annate fa fatica a maturare. Per questo i complementari sono importanti, affinchè si possa produrre a tutte le altitudini, un vino d’ annata interessante, morbido, piacevole e bevibile.”