È sempre un piacere incontrare persone appassionate del proprio lavoro, che condividono liberamente le loro visioni, aspettative e desideri, non solo nel mondo del vino ma anche oltre. È esattamente ciò che mi è successo con Francesca Tinazzi, che insieme alla sua famiglia guida l’omonima azienda con sede a Verona. Nella loro tenuta a Greve in Chianti, Francesca mi ha raccontato la filosofia imprenditoriale e familiare che contraddistingue la loro realtà. Possedere una tenuta in Toscana è stato a lungo un obiettivo per la famiglia Tinazzi. “Mio padre, Gian Andrea, imbottigliava già a 15 anni,” mi racconta Francesca. “Per lui il mondo del vino è una missione, qualcosa che ha sempre sentito dentro. Dopo il Veneto, abbiamo investito in Puglia.

Non è stato facile, è stata una grande sfida, piena di difficoltà, ma oggi i risultati ci danno ragione.” Nel 2021, al ritorno da un viaggio in Toscana, Gian Andrea mi ha detto di aver acquistato una tenuta. “È stato un accordo tra gentiluomini che si è concretizzato nel 2022 con l’acquisizione definitiva di Pian del Gallo, cinque ettari di cui tre coltivati a Sangiovese e Merlot.”

Mi racconta di come, anche in questo 2024, i grappoli in vigna sono sani e bellissimi: “Qui da voi l’uva cresce con una vigoria e bellezza unica. Da noi, in Veneto, non è così semplice far maturare le uve nel modo giusto.” Questo mi ha confermato ancora una volta quanto la mia regione sia un’eccellenza vitivinicola, rara nel mondo. Eppure, rimango stupito da quei colleghi che preferiscono guardare altrove, persino all’estero.

Francesca prosegue: “In questi due anni sono venuta spesso in Toscana per seguire i lavori di ristrutturazione di questa piccola proprietà. Qui la gente è straordinaria, c’è turismo e un clima, un paesaggio, che non hanno eguali.” Tuttavia, mi confida anche di aver trovato numerosi vigneti abbandonati, con molti proprietari che le hanno proposto di rilevare o gestire le loro terre. “Mi chiedo, perché succede questo?”.

Con questa riflessione, Francesca tocca un nervo scoperto del Chianti Classico. Dopo la crisi della fine degli anni ’90, molti produttori faticano ancora a rialzarsi. Non è un problema del territorio o della qualità del vino, che resta eccellente, ma piuttosto una questione culturale. La mancanza di ricambio generazionale e l’atteggiamento conservatore di alcuni produttori, che continuano a dire “Finché sono in vita, faccio il vino come voglio io”, impedisce di affrontare le sfide di un mercato che richiede inevitabili cambiamenti. Trovo ancora troppi produttori che si lamentano per le difficoltà a vendere il vino, senza chiedersi davvero perché accade. Non è solo colpa della situazione economica. Quando le cose vanno bene è tutto facile, ma è nelle fasi di crisi che bisogna porsi domande e accettare consigli che a volte non si vogliono sentire.

Per questo, un plauso va a imprenditori lungimiranti come la famiglia Tinazzi, che ha scelto la mia regione non solo per fare business, ma per vivere un sogno. Ed è proprio di questo che il territorio ha bisogno: visioni imprenditoriali che vadano oltre il profitto, che valorizzino, con rispetto, i doni della natura.

“Abbiamo scelto il Chianti Classico perché lo consideriamo la culla del vino italiano,” mi ha detto Francesca. E come darle torto? Auguro il meglio alla famiglia Tinazzi e a tutti coloro che, ogni giorno, si impegnano per dare valore umano a questo territorio.