In questi giorni, sui social e nei media tradizionali, si è intensificato il dibattito riguardo alle pubblicazioni a pagamento su importanti riviste, tanto nel settore della ristorazione quanto in altri ambiti. Si tratta di un fenomeno che, purtroppo, non è del tutto nuovo. Le classifiche a pagamento sono una pratica consolidata, che ha visto molte aziende, grandi e piccole, preferire il “posizionamento a pagamento” piuttosto che investire in campagne pubblicitarie più creative e mirate.

Questa tendenza ha sollevato interrogativi sulla lungimiranza di alcune scelte imprenditoriali, dove la promozione autentica del prodotto o servizio ha ceduto il passo alla via più semplice del “posizionamento sponsorizzato”. Sebbene questo approccio possa sembrare allettante, ha inevitabilmente ridotto la credibilità di alcune pubblicazioni e minato il valore di recensioni e analisi realizzate con serietà e competenza.

Oggi, questa pratica sta emergendo in modo più evidente, facendo luce su alcune dinamiche che per troppo tempo sono rimaste sotto traccia, influenzando il dibattito pubblico e impedendo una comunicazione davvero trasparente. Una realtà che, sebbene poco visibile al grande pubblico, è ben conosciuta da chi lavora nel settore.

Esistono da sempre categorie come gli “spazi adv”, ossia pubblicità chiaramente riconoscibili, in cui il contenuto non è redatto da giornalisti ma si concentra sull’approfondimento di un prodotto o servizio. In questi casi, l’utente sa con certezza che si tratta di un contenuto sponsorizzato e non di una recensione o di un commento autentico. La distinzione tra contenuti pubblicitari e recensioni genuine è chiara, consentendo di mantenere un rapporto trasparente con il lettore. In passato, anch’io mi sono trovato a scrivere in questa categoria e, sebbene non vi sia nulla di negativo in questa pratica, è fondamentale che si preservi questa separazione netta.

Ciò che mi preoccupa maggiormente è vedere come, talvolta, la professione giornalistica venga coinvolta in queste dinamiche. Nonostante l’impegno per seguire una deontologia professionale, la tentazione di cedere a offerte finanziarie può risultare difficile da resistere, mettendo a rischio l’integrità delle recensioni e delle valutazioni. Questo fenomeno è sempre più diffuso, con locali e brand che acquistano posizioni privilegiate nelle classifiche, talvolta attraverso influencer e altri canali.

Inoltre, pare che alcuni editori stiano avviando nuove “entusiasmanti” iniziative di valutazione dei vini italiani, ma questi percorsi, purtroppo, sembrano avvitarsi su se stessi e rischiano di offuscare il valore di un’opinione sincera e di una deontologia professionale che sembra sempre più rara. Vedremo.

D’altronde, è ormai facile convincere un giovane consumatore che un piatto o una bevanda sia di alta qualità. Spesso, le nuove generazioni non possiedono gli strumenti necessari per valutare ciò che mangiano o bevono, ma si concentrano più sull’esperienza visiva, come un selfie in un luogo scenografico o davanti a un panorama. In questo contesto, ciò che si trova nel piatto o nel bicchiere sembra automaticamente buono, perché lo ha detto la guida o l’influencer del momento.

Queste riflessioni meritano un approfondimento ulteriore, che tornerò a sviluppare in seguito.