Basilio Bessarione chi era costui? Ma soprattutto cosa c’entra un uomo vissuto 600 anni fa a Trebisonda, città sulle rive del Mar Nero nell’attuale Turchia, con la Chianti Classico Collection 2023 svoltosi a Firenze alla stazione Leopolda il 13 e il 14 febbraio scorsi?
In degustazione in anteprima c’era la nuova annata, la 2020, che in generale si è dimostrata interessante, già con un buon equilibrio e di lungimirante prospettiva. Al contrario del resto dei vini della Toscana, dove la 2019 può essere considerata una delle migliori annate, nei territori del Chianti Classico la 2020, la ritengo più gustosa e piena rispetto alla precedente vendemmia.
Ma non sono qui per parlare di questo. Bessarione ricordi?
Oltre alle 750 etichetti presenti sugli stand dei produttori, fra Chianti Classico, Riserva e Gran selezione in disparte, in silenzio e in riservatezza, c’era un piccolo banco con sopra bottiglie strane, diverse fra loro, qualcuna più sottile e lunga, altre più piccole e tozze, slanciate o panciute, longilinee o corpulenti. Tutte però fulgide e lucenti, brillanti e splendenti al loro interno.
I Vin Santo.
I Vin Santo al Chianti Classi Collection 2023.
E no! Non si chiama Vin Santo perché lo usa il sacerdote per la Santa Messa. Ecco che entra in scena Bessarione.
Siamo sempre a Firenze, ma nell’anno domini 1439. La cena è di quelle importanti, tavola imbandita per prendere gli accordi fra Chiesa d’occidente rappresentata da Papa Eugenio IV e la Chiesa orientale con l’imperatore d’Oriente Giovanni VIII Paleologo e il patriarca di Costantinopoli Giuseppe II per ricomporre lo scisma avvenuto anni prima. Fra i vari commensali spiccava la figura di Basilio Bessarione, monaco e teologo, arcivescovo di Nicea, ma soprattutto come si direbbe oggi “una buona forchetta”.
“Aristos” esclamò, che in greco vuol dire ottimo, superlativo, dopo che ebbe assaggiato la “groppa” di maiale al forno, quella che tutt’oggi è conosciuta e apprezzata come arista.
E dopo che ebbe degustato il vino dolce tipico toscano sembra che abbia affermato: “Questo è il vino di Xantos” identificandolo con il passito dell’isola di Santorini e invece i presenti abbiano interpretato, confondendo la pronuncia, con “santo”, cioè divino, sublime, eccelso.
Da quel giorno diventò Vin Santo.
Ecco le mie degustazioni più esaltanti, considerando che in bocca, al di là della complessità più o meno importante a livello aromatico, un buon vin santo dovrà essere dolce e mai sdolcinato, stuzzicante e mai stucchevole.
Caparsa 2000: Un sorso di tradizione. Frutta secca, miele, note caramellate, albicocche e fichi secchi. Note smaltate. Un sorso lunghissimo. Felicemente lunghissimo.
Terreno 2013: Fichi secchi con dentro la noce. Li hai mai assaggiati? Qui sono nel calice arricchiti da miele, albicocche secche e un tocco leggermente balsamico che alleggerisce il sorso e lo rende elegante.
Cortine 2001: Albicocca disidratata, caramello e miele. Note smaltate di ceralacca. Opulento e morbido, ma sempre fresco, pulito accattivante. Ma che te lo dico a fare… E’ il vino della cattedrale di Firenze!
Sant’Andrea Corsini 2006 – Villa le corti: Bronzeo. Miele di castagno e mallo di noce. Dattero e frutta secca. Piacevolmente fresco e leggermente amaricante nel finale ad impreziosire, firmare e “dammene ancora ti prego…”
Castello di Cacchiano 2006: Frutta candita e condita da confetture miste, miele d’acacia e spezie dolci. Note fresche agrumate ti lasciano con la voglia di berlo ancora e ancora.
Giusto per onore della cronaca, la cena andò bene, il Vin santo fu valido lubrificante e la desiderata riunificazione fu sancita nella bolla “Laetentur Coeli” (Che i cieli si rallegrino), solo che 14 anni dopo Costantinopoli fu conquistata dal sultano Maometto II il quale impose la legge coranica che comprendeva il divieto di mangiare carne di maiale e bere alcolici.
Quando mangiate una bella fetta di arista con le patate o degustate un delizioso Vin santo, pensate al “poro” Bessarione che sicuramente morì affranto e disperato!