Durante la cena ho avuto il piacere di conversare con Michele Jermann e Emanuela Tamburini, marito e moglie, bella coppia nella vita ma anche connubio vincente nel lavoro. Lui, friulano, proveniente da una delle più grandi dinastie del vino, competente e lungimirante innovatore, lei, abile imprenditrice toscana, volitiva, fedele al suo territorio eppur aperta ai mercati esteri e al nuovo.
Esattamente come i suoi vini, raffinati ma veri, toscani ma internazionali. La tenuta di Emanuela esisteva già nel 1890 e produceva Chianti e olio d’oliva. Negli anni ha esteso i territori e attualmente si contano circa cinquanta ettari. Esporta Chianti, Supertuscan e anche 1300 bottiglie di Brunello all’anno grazie a un piccolo vigneto a Montalcino che Emanuela ama chiamare “il mio giardino”.
È interessante sentirla parlare mentre mi spiega come, dopo la maturità, al momento di intraprendere il percorso universitario, sia stato determinante per lei confrontarsi con suo padre sul destino dell’azienda di famiglia. Ha così deciso di iscriversi alla facoltà di viticoltura ed enologia e già dal luglio 2002 è divenuta titolare dell’Agricola Tamburini. Durante gli studi ha scoperto di amare molto agronomia. Grazie alle sue competenze, agli investimenti e alla passione, l’azienda ha sviluppato una rete commerciale attiva e diffusa soprattutto all’estero: Stati Uniti, Canada, Belgio, Russia, Lussemburgo, Svizzera. Mi racconta queste cose mentre assaporiamo le ottime polpette di trippa al pomodoro, abbinate al Massiccio 2018, vino “storico” cui Emanuela è molto affezionata. È la prima etichetta che la famiglia ha introdotto sul mercato come brand Tamburini. Era il 5 dicembre 2005. Me ne parla come se i vini fossero figli, si evince la cura, la passione. “Sicuramente quando è nato, era più ruspante, adesso ha raggiunto il suo equilibrio”. È stato suo padre Mauro a trovare il nome “Massiccio”. Al naso mi arrivano note di carciofo, cardo, frutta scura. 85% di Sangiovese e il resto Merlot. Ha una grande bevibilità. Ottimo.
Mi viene spontaneo chiedere a Emanuela come abbia incontrato Michele. “Ci conosciamo tutti in questo ambiente. Io faccio anche parte dell’Agivi, Associazione Giovani Imprenditori Vinicoli Italiani”, mi risponde, “nel 2017 volevo andare alla cantina Jermann, ma per impegni non ce l ho fatta, poi Marzia Varvaglione mi ha invitato al suo matrimonio in Puglia ed è lì che l’ho conosciuto. Era giugno, 2019. A novembre si è trasferito in Toscana. Marzia ci ha fatto da testimone di nozze”. Per amore Michele ha dunque lasciato i suoi bianchi per approdare ai rossi toscani, dando un forte sostegno a Emanuela.
Lo abbiamo potuto constatare degustando il TJ, vino rosato che fonde i due cognomi, Tamburini e Jermann, e che è dedicato alla loro bambina. Unisce la tradizione toscana, 100% sangiovese, al patrimonio friulano. Al naso mi ha evocato capperi, lilla e rosa. Al gusto è secco, ha un’acidità elegante. Elemento molto innovativo di questo vino è il tappo a vite, alternativo. Porta l’impronta di Michele che già nel 2001 aveva cominciato ad utilizzarlo e di cui è convinto sostenitore perché dona longevità e sicurezza al prodotto. È grazie a lui se l’Agricola Tamburini si è aperta a questa tipologia di tappatura, andando contro i pregiudizi che molti ancora nutrono al riguardo.
Assieme alla pasta, maltagliati al ragù di coniglio, è stato servito Mike, l’ultimo nato in cantina Tamburini, numero zero del 2020. È un cru, “un vigneto che mio marito ha subito amato per come era esposto”, dice Emanuela. Insieme, quasi per gioco, hanno provato a mettere queste uve in un singolo tonneaux. È rimasto lì tre anni, quando, dopo molti assaggi, e di comune accordo, lo hanno trovato pronto. Mike, dedicato a Michele, è una “ Special edition”, 500 litri, 600 bottiglie. Vino particolare, 100% Sangiovese.
Al naso sa di ciliegia e in bocca ha una buona acidità. È piacevole, fresco, i tannini non sono forti. L’ho trovato eccellente. Commentiamo con Emanuela le ricette dell’Osteria Pratellino. Hanno azzeccato anche l’abbinamento tra stracotto di capriolo e il Douscana, vino europeo che unisce il Douro e la Toscana, prodotto con 50% di Touriga National del Portogallo ( l’uva che dà origine al porto ) e 50% Sangiovese. Al palato Douscana ha note antiche, di ciliegia sotto spirito, per me davvero evocanti.
“Questa etichetta si fa solo nelle annate buone”, dice Emanuela e mi racconta divertita di quando, in Brasile, a Expovinis 2014, ha incontrato dei viticoltori portoghesi che sarebbero venuti in Toscana in un viaggio di formazione. “Noi li abbiamo accolti nella nostra Agricola. Erano una squadra di produttori, giornalisti, enologhi. Mia mamma, ottima cuoca, ha cucinato per tutti, e, tra bicchiere e bicchiere, è maturata l’idea di realizzare un blend”.
La capacità di un’azienda di essere al passo coi tempi e di espandersi, oltre la passione, la competenza e gli investimenti, è anche data da tutto ciò: sapere uscire dalla comfort zone e allargare i propri orizzonti e Tamburini ne è la dimostrazione.
Prossimo appuntamento di “A tavola con il produttore” giovedì 7 Novembre con una serata dedicata al Valdano di Sopra.