Una formula vincente quella ideata da Francesco Carzoli, titolare dell’Osteria Pratellino e il giornalista Milko Chilleri. Tra una portata e l’altra illustrano con passione i piatti e i vini della serata in un’atmosfera di convivialità e condivisione. I cibi rappresentano il territorio e vengono accompagnati ogni volta dai vini di una sola cantina. Ospite della terza serata una piccola azienda del Valdarno di Sopra che si distingue per prodotti di grande qualità con bassi livelli di solfiti. La tenuta è situata lungo la via dei Setteponti nel Valdarno di Sopra, tra le province di Firenze, Arezzo e Siena, in un fondo argilloso con strati di scisti. Tre ettari di Sangiovese, Cabernet Franc e anche Orpicchio, recuperato con tanta pazienza e cura da due soli esemplari di piante. Una terra famosa per la sua potenzialità vinicola, tanto che nel 1716 fu riconosciuta zona di eccellenza da Cosimo III de’ Medici  in un  bando che delimitò le zone di produzione del Chianti, del Pomino, del Valdarno di Sopra e del Carmignano.

Ad aprire la cena è stato servito Osato, il rosato del 2022, a base di Cabernet Franc. Al naso: ciliegia e mandorla, al gusto sapidità e vivacità, grazie alla forte escursione termica tra giorno e notte che fissa la freschezza degli aromi. Il vino in rosa era abbinato ad un piatto di struttura realizzato in chiave moderna, un perfetto omaggio al territorio: una tartare di chianina battuta a coltello con a parte capperi, cipolla e acciuga tritati.

Il secondo vino era Ruschieto, un Sangiovese in purezza del 2014. A causa dell’avversa annata, difficile e piovosa, l’azienda ha lavorato solo con  una selezione di grappoli. Poca quantità ma alta qualità per un vino quasi austero, tuttavia elegante, che ben ha interagito con la sfiziosa zuppa di ceci e baccalà. Nell’entroterra toscano, nel passato, gli unici pesci accessibili erano l’aringa e il baccalà, affumicata, l’una, sotto sale l’altro. Un “piatto della domenica”, dunque, caldo e corroborante che il cuoco dell’Osteria il Pratellino ha saputo abilmente confezionare, ricreando la ricca combinazione di quando si riuscivano a mettere insieme ceci e pesce.

A seguire, Ruschieto 2018, annata meno problematica e con maggiore equilibrio tra le parti di durezza. Al naso arrivano i frutti rossi e le erbe aromatiche tipiche del territorio. Ancora freschezza e sapidità con potenza alcolica moderata. Perfetto con gli gnocchi di patate con zafferano e tarese, prodotto ottimo ma poco conosciuto originario del Valdarno, un salume simile alla pancetta per la cui produzione è però necessario avere maiali di almeno 100 chili.

Alla seconda portata è stato abbinato La Nocetta 2019, 60% Sangiovese, 40% Cabernet. Colore rubino brillante, bouquet ricco, complesso, con persistenza di frutti di bosco, tostatura di caffè, mirto. Al palato un bouquet di note: melagrana, cuoio, tabacco, caffè tostato, mora. Perfetto per lo stufato alla Sangiovannese preparato con il quarto anteriore della chianina, un tempo usata per tirare i carri. Tutti gli ospiti si sono divertiti a individuare le spezie utilizzate dal bravissimo chef Matteo Caccavo. A San Giovanni Valdarno la miscela di spezie supersegreta, chiamata il “drogo”,  viene venduta in un solo negozio del paese.

Ho amato i vini de La Salceta. Apprezzo il loro preservare la biodiversità. Le uve, completamente prive di  residui chimici, regalano vini con una identità ben riconoscibile, freschi, piacevolmente bevibili. Tutto, dalle bottiglie stile bordolese alle etichette sobrie e minimaliste con un gusto retró, tutto, suggerisce schiettezza e genuinità. Molto interessante l’adozione semplice e naturale dei tappi in vetro. Inalterabili, igienici, ermetici grazie ad una guarnizione in gomma. Ottimi anche da collezionare. Fini ed eleganti.

Per concludere la cena l’ottimo Gin Castelgreve, pepato compagno di tutti gli otto incontri, servito con il castagnaccio reso speciale da un tocco “segreto” tutto da scoprire. Molto buona la combinazione.